Esami inutili: quali evitare.

Link: http://www.altroconsumo.it/salute/diritti-del-malato/speciali/esami-inutili/1

Troppo spesso analisi e cure sono applicate in eccesso. Uno spreco di tempo e denaro. Per non parlare dei danni che alcuni esami, se inappropriati, possono provocare alla salute. Abbiamo aderito al progetto “Fare di più non significa fare meglio” promosso da Slow Medicine. Ecco le pratiche mediche a maggior rischio di eccesso. Prima di sottoporti agli esami, confrontati con il tuo medico.

Cure in eccesso: un rischio per la salute

Troppo spesso analisi e cure sono applicate in eccesso, anche quando non ci sono dati scientifici solidi che ne dimostrino l’utilità.

  • Per abitudine.
  • Perché con il tempo sono entrati nell’uso.
  • Per la pressione dell’industria farmaceutica e medica.
  • Perché il medico e il paziente vogliono “sentirsi più tranquilli”.
  • Perché “tutti fanno così”.

Un’analisi o un trattamento non necessari possono esporre il paziente a rischi inutili, in misura molto maggiore di quanto non siamo abituati a pensare. Senza contare l’inutile aggravio della spesa per il Servizio sanitario, che alla fine viene pagato da tutti, sia in termini di tasse maggiori, sia in termini di tagli a misure di assistenza a volte necessarie.

Sobrietà significa qualità

Ma non si tratta soltanto di sprechi: bisogna avere molto chiaro che una cura o un esame non motivato, anche il meno invasivo, per il cittadino è un inutile rischio per la salute.

  • Un esame può essere dannoso. Non tutti gli esami sono privi di rischi: le radiografie, per esempio, comportano l’esposizione a radiazioni ionizzanti, qualcosa cui non è ragionevole sottoporre l’organismo se non c’è un motivo davvero valido.
  • Tutti gli esami possono dare esiti sbagliati. Sia perché non identificano un disturbo (falsi negativi), sia perché lo identificano quando non c’è (falsi positivi). Questo può creare una catena di conseguenze dannose: nel caso dei falsi positivi, ad esempio, una serie di nuovi esami inutili, con tutte le ansie, i rischi e le spese conseguenti.
  • Può succedere di trovare disturbi che sarebbe stato meglio non curare. Un aspetto su cui si riflette troppo poco è quello della sovradiagnosi: un esame può infatti portare a trovare (e trattare) una malattia che non avrebbe mai dato fastidio. L’esempio più classico è quello dello screening del PSA, che identifica e spinge a curare tumori della prostata che non avrebbero mai fatto danni, trasformando in malati uomini che senza lo screening sarebbero stati considerati sani.

“Fare di più non significa fare meglio”

“Fare di più non significa fare meglio” è un progetto promosso dall’associazione Slow Medicine, con la partecipazione di Altroconsumo. Lo scopo: portare i medici e i pazienti a scegliere con maggiore attenzione, discutendone insieme, le cure e gli esami da prescrivere.

Abbiamo chiesto a medici e altri professionisti della salute di indicarci le pratiche a più alto rischio di eccesso: cioè quelle che più spesso vengono prescritte ed effettuate anche quando non è necessario, anche quando non ci sono dati scientifici che ne supportino l’utilità. Non si tratta certo di abolirle: ma di spingere i medici e i pazienti a prenderne atto, discutendo insieme con calma i pro e i contro prima di decidere.

Aerosol al cortisone: ai bambini spesso non serve

Molto spesso il pediatra prescrive "un po’ di aerosol con il cortisone” ai bambini, anche molto piccoli, con tosse e/o raffreddore. E spesso è una scelta inappropriata. Le infezioni delle vie respiratorie superiori (naso, bocca, faringe e laringe) sono le malattie più frequenti nei bambini. Quasi sempre a causarle è un virus stagionale. Guariscono spontaneamente nell’arco di una settimana o poco più. Soprattutto nel periodo invernale i più penalizzati dai virus sono i neonati. La tosse persistente e la richiesta di una terapia per risolverla sono le motivazioni più frequenti delle consultazioni telefoniche e delle visite pediatriche. Secondo i dati dell’Osservatorio ARNO bambini (un sistema di sorveglianza continua sulle prescrizioni dei medici del Servizio sanitario nazionale), i cortisonici inalatori sono tra i primi 15 farmaci più prescritti in Italia. I nomi dei principi attivi in commercio sono Beclometasone, Budesonide, Flunisolide e Fluticasone.

 

Perché un aerosol spesso non è consigliabile

  • Non ci sono prove che i farmaci cortisonici inalatori siano efficaci per la cura della tosse: al contrario, è dimostrato che il loro uso non accorcia la durata dei sintomi delle infiammazioni acute delle prime vie respiratorie.
  • I cortisonici per inalazione sono davvero indispensabili nel trattamento di poche condizioni ben definite, che sono: l'attacco d'asma, l'asma cronica e la laringite acuta stenosante infettiva, detta anche croup.

 

I consigli di Altroconsumo

  • In caso di raffredore e mal di gola alcuni rimedi tradizionali sono assolutamente validi. Come quello di tenere sempre pulito il naso del bambino, così non respirerà con la bocca, aumentando il rischio di tosse dovuta all'irritazione della gola. Anche bere spesso acqua, o bevande calde con miele, è un ottimo rimedio.
  • Usa i cortisonici inalatori solo in presenza di indicazioni mediche e nelle sole situazioni in cui la loro efficacia è provata.
  • Apri spesso le finestre di casa, anche in inverno, per ridurre la concentrazione di microbi e sostanze irritanti. Non riscaldare troppo l’ambiente e contrasta la secchezza causata dai termosifoni accesi umidificando l'aria.
  • Ricorda che la gola infiammata e il raffreddore sono malattie che passano da sole ed è improbabile riuscire ad accelerare la guarigione.

 

 

Basta un poco di zucchero

Pillole di zucchero al posto di veri farmaci. Metà dei medici tedeschi ha l'abitudine di prescrivere placebo, secondo uno studio dell'associazione dei 'camici bianchi' (Bundesärztekammer, BÄK) del Paese. A quanto emerge dall'indagine, i medici sono convinti che questo sistema, che può prevedere finte compresse, rimedi omeopatici al posto di quelli classici o addirittura 'finta' chirurgia, possa essere efficace contro molti disturbi, in primis quelli allo stomaco e la depressione.

Secondo la ricerca 'Placebo in medicina', in Baviera addirittura l'88% dei medici di famiglia manda a casa i pazienti con una ricetta per così dire 'speciale'. "Il placebo - dice Christoph Fuchs, direttore della BÄK - ha un effetto più forte e complesso di quanto si immagini. E oggi in medicina la sua importanza è enorme".

Nel caso dei disturbi di stomaco, il placebo si è mostrato efficace nel 59% dei pazienti, mentre per la depressione in un terzo dei casi.

Il buon funzionamento della 'pillola allo zucchero' dipende da molti fattori: dimensione e colore della compressa stessa, costo e formulazione. Le 'finte cure' più care e quelle somministrate per via endovenosa si sono dimostrate le più efficaci. Importante anche la fiducia nutrita nel proprio medico.

Eticamente, il placebo rimane però una zona grigia: pochi medici sanno se è possibile prescriverlo senza incorrere in sanzioni legali. E' per questo che la BÄK ha lanciato la proposta di istituire linee guida internazionali. Per ora, il consiglio dei medici tedeschi è di preferire il placebo solo in situazioni di blandi disturbi.

Lo studio - Medici britannici e tedeschi hanno lavorato su un campione di 22 volontari, sulle gambe dei quali hanno posto un oggetto che emanava calore e hanno chiesto loro di fornire un valore al dolore percepito, secondo una scala da 1 a 100. Li hanno poi collegati ad una flebo in modo da poter velocemente somministrare i farmaci, convenzionali (morfina) e non (privi di qualsiasi principio attivo). Il dolore diminuì maggiormente nei pazienti che credevano di ricevere un antidolorifico, sebbene si trattasse di un placebo, anziché in coloro cui fu iniettata morfina. Quando gli studiosi hanno invece preannunciato al suddetto campione che non sarebbe stata somministrata morfina (cosa che invece fu fatta all'insaputa dei pazienti): l’ansia dei volontari condizionò la loro percezione del dolore, aumentandone la soglia a valori di gran lunga superiori.

La conclusione a cui perviene il Dr. Ulrike Bingel dell’Amburgo’s University Medical Center che ha collaborato con i ricercatori di Oxford è che provare ad instaurare un legame più stretto potrebbe favorire l’assunzione di un farmaco che possa curare, per esempio, i dolori cronici. Il cervello, quindi, reagirebbe alle cure, a prescindere dai farmaci somministrati. Potrebbe addirittura svolgere la stessa funzione di un potente analgesico. Il segreto è nascosto proprio nelle aspettative che i pazienti nutrono per quello specifico trattamento.

La stessa Irene Tracey dell’Università di Oxford, che si è occupata dello studio, ha sottolineato l’importanza dell’influenza del nostro cervello nel condizionare l’effetto di un farmaco, amplificandone gli effetti o, addirittura vanificandoli. Comprendere la relazione dei meccanismi biochimici scatenati dall’effetto placebo, vorrebbe dire chiarirne le possibilità di utilizzo grazie alle doti innate nel nostro organismo.



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